

ANNI '50: dalla figura all'astrazione
Chiave di lettura
“La rappresentazione della figura umana ha aspetti intriganti: per descrivere un determinato corpo devo costruirlo con volumi, scomporli e leggerli nei rispettivi piani ed avvertire le linee di tensione, le torsioni e gli accostamenti delle parti del corpo stesso. Per descrivere un dato reale devo quindi astrarne gli aspetti essenziali. Ma se non desiderassi la resa realistica dell’opera? Se volessi, in verità, cogliere l’essenziale di una forma naturale? Allora potrebbe non essere quell’uomo o quella donna l’oggetto della mia descrizione, ma bensì la loro struttura, lo slancio di un movimento, la forza di una postura, l’aggressione che ogni essere vivente esercita nei confronti dello spazio apparentemente vuoto. In altre parole darei alla materia la forma degli aspetti essenziali che prima ricercavo con lo sguardo ma che poi non affrontavo in modo compiuto e pieno, sfumandone l’impatto a favore della resa realistica del corpo“. Negli anni ’50, osservando la variegata produzione di Loreno Sguanci e scorrendola in successione cronologica, si avverte la tensione verso nuovi orizzonti formali: l’uomo, inizialmente indagato nelle sue componenti strutturali e volumetriche, è il punto di partenza di una riflessione attuata in cui, con assai poca attenzione al particolare, lo scultore si concentra sull’architettura e sull’archètipo fino a quando, nel ’59, non libera nello spazio i suoi “Fiori”. Da questo momento in poi, lo sforzo della sua ricerca pare costantemente teso a rendere visibile l’invisibile nel caparbio tentativo di cogliere l’essenza della vita stessa.
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